IL FIUME ASPETTA

Il fiume aspetta

opera pubblica realizzata durante il progetto di residenza artistica internazionale Vìs a Vìs Fuoriluogo, a cura di Matteo Innocenti e Tommaso Evangelista, associazione Limiti Inchiusi, Paolo Borelli e Fausto Colavecchia

Il fiume aspetta è uno degli interventi sugli aspetti rimossi del paesaggio, sugli spazi di confine tra umano e non umano che io e Gabriele abbiamo lasciato a Lucito durante il progetto di residenza internazionale Vìs a Vìs in Molise.
Il giorno dopo il nostro arrivo abbiamo scoperto un torrente tombato, affluente del fiume Biferno, che un tempo attraversava il paese.
Il torrente, oggi ridotto poco più che ad un rivolo nel cemento, era un tempo al centro della vita del paese, serviva per procurarsi l’acqua, per lavare i panni, alcuni ci hanno raccontato che vicino c’era un macello e al torrente lavavano anche il sangue e le interiora degli animali.
Ma “il fiume aspetta, sempre” ci ha detto Michele, uno degli abitanti, e il torrente nascosto torna a far sentire la sua presenza, in qualche modo negata: durante le piogge intense si ingrossa, travolge, fa danni. Esiste una metafora più potente dell’inconscio, della rimozione simbolica e reale della relazione con la natura? Eppure il fiume è vivo, abita l’immaginario del paese, e quanto questo antico legame porti con sè aspetti problematici, affioramenti e rimozioni, l’abbiamo realizzato e toccato con mano con lo scorrere dei giorni.
Durante la residenza abbiamo deciso di riportare la presenza e la memoria del torrente e del fiume nel cuore del paese ricongiungendola alla dimensione domestica calcando alcuni ciottoli raccolti con Antonio sul Biferno e ibridandoli con i calchi di alcun parti come manici,versatoi e becchi di alcuni contenitori dell’acqua che abbiamo raccolto tra gli abitanti di Lucito.

Dal testo critico di Matteo Innocenti:
“Lucito è tra i paesi che il Biferno, uno dei fiumi maggiori del Molise, lambisce verso valle. Lo scambio avviene con reciprocità, infatti alcuni esigui torrenti, che attraversano anche la zona dell’abitato, scendendo vi affluiscono. La formazione dell’insediamento lucitese ha storicamente un rapporto con l’acqua, come consuetudine: sappiamo che laddove essa scorre e permette una serie di attività, le forme della civiltà, siano estese o contenute, possono più facilmente attecchire e proliferare. La memoria locale ancora conserva dei ricordi rispetto a periodi che non sono così remoti; alcune generazioni addietro, per esempio, nei corsi acquiferi si lavavano le carni animali macellate e le fibre di lino da tessere. In seguito la relazione diretta è venuta meno, il torrente è stato tombato per ragioni pratiche e se ne è ottenuta l’attuale piazza antistante la chiesa dell’Immacolata Concezione. Però nel variare delle stagioni, soprattutto in occasione di piogge abbondanti, lo scorrere dell’acqua torna a farsi sentire.
Ecco, questa presenza che fu così forte nel passato e che oggi manca apparentemente – di fatto resta viva, seppur costretta a un livello sotterraneo – ha valso da avvio di riflessione per gli artisti. Così Caterina e Gabriele hanno scelto di proporre una connessione ideale tra lo spazio e il tempo del fiume, e quelli della comunità. Da alcuni massi raccolti sulle rive del Biferno, e dopo lì ricollocati, hanno realizzato dei calchi di argilla, che sono stati cotti e rifiniti con dei toni di colore tali da renderli del tutto identici agli “originali”, sebbene di materia differente. A queste ceramiche è stato poi aggiunto un altro elemento. Avendo chiesto agli abitanti del paese, conosciuti nel corso dei giorni, di scegliere un oggetto quotidiano utile al contenimento dell’acqua o di altri liquidi – e che avesse al contempo un valore affettivo, legato a delle storie e a dei ricordi – gli artisti, selezionandone alcuni, con la medesima tecnica di cui sopra hanno ottenuto delle copie dei manici, da applicare ai calchi delle pietre. La serie di quattro sculture, così composte, forma l’opera Il fiume aspetta. Per l’installazione, in vista della prima presentazione pubblica, sono stati presi in considerazione altrettanti punti che, uniti, formassero un percorso che partendo dalla zona dove passa il torrente tombato – quindi, come detto, nei pressi della chiesa, in cui è presente anche una fontana – procedesse verso il centro storico, prima della Porta Maggiore e poco dopo il suo il suo attraversamento. In tal modo è come se l’acqua tornasse verso la comunità,
con l’insieme di valori e memorie che le sono associabili. Queste “strane” anfore, che sono evidentemente delle forme ibridate, testimoniano di come ogni rimozione, piuttosto che perdersi, rinasca in una forma differente – arricchita o sublimata – dalla sensibilità e dall’immaginazione.
L’installazione si pone come simbolo di un’unione tra prospettive temporali e spaziali diverse ma necessariamente in dialogo: quella geologica delle pietre, che è davvero cosa enorme, e quella assi più limitata della vita singola e delle generazioni. In fondo l’aspetto della relazione riguarda anche l’esistenza delle sculture nel paese: un’opera d’arte pubblica, in quanto esposta e materialmente disponibile, si pone sempre in una relazione diretta con la comunità locale, ne diventa, per l’appunto, un elemento del paesaggio visivo, e come tale sottostà a un processo di accettazione, eventuale o di vario grado. Il che avviene, certo, a partire dai primi giorni della permanenza degli artisti, ma poi continua, per giungere a un esito ben oltre la fine circostanziata dell’esperienza residenziale.”

 
 

Il fiume aspetta
2023

opera pubblica realizzata durante il progetto internazionale di residenza Vìs a Vìs a cura di Matteo Innocenti, Tommaso Evangelista, associazione Limiti Inchiusi, Paolo Borelli e Fausto Colavecchia.

 

quattro elementi in ceramica bianca dipinta e invetriata

Caterina Sbrana e Gabriele Mallegni